martedì 21 agosto 2012

Notte storta


Diciamo che c’è un idraulico che crede nell’oroscopo.  Niente di male. La mattina, alle sette e quaranta, ordina il suo caffè corretto al bar, posa l’occhio sulla prima pagina del giornale (tanto per essere sicuro che non siamo in guerra con qualcuno), poi lo apre sulle previsioni del tempo (tanto per essere sicuro che non stia piovendo), e poi l’oroscopo. Vergine. Sì, lo so, è contro l’immaginario popolare, ma credo che ugualmente esistano, possano esistere,  postini e idraulici vergini, nel senso del segno. O anche in altri sensi, tutto sommato.

“Oggi la Luna in storione crea un riflusso negli astri del tuo segno che ti coglie di sorpresa. Ma non c’è problema, perché Marte ti garantisce che tutto va liscio. Alla grande!”

Ok, ancora niente di male. Poi viene a casa mia e mi monta le valvole rovesce per via del riflusso. Che non lo coglie di sorpresa, l’aveva letto sul giornale… Solo che il riflusso coglie _me_ di sorpresa, quando l’acqua esce invece che entrare.

Va bene, va bene, non serve estremizzare. Diciamo che non ci crede abbastanza da invertire le valvole, però  ci crede abbastanza da fare un lavoro di merda e tirare lo stesso i soldi, perché Marte glielo garantisce. Ohi, ci ha la Luna in storione, mica cazzi!

Cosa voglio dire? Voglio dire che un idraulico, alla peggio, ti allaga la cantina, e comunque non dura più di un mese sul mercato, se lavora basandosi sull’oroscopo. E voglio dire che un evoluzionista credente (in una qualunque accezione del termine, rimane pur sempre un’accezione antiscientifica) può esistere se è pazzo. Pazzo in quel senso buffo, che non esiste, pazzo nell’avere due personalità distinte, una che fa scienza e un’altra che va in chiesa. Altrimenti no.

Il punto è piuttosto semplice: se fai scienza non puoi avere preconcetti per definizione, se sei credente hai preconcetti per definizione. E a una prima occhiata le due cose paiono in leggero contrasto.

Poi, capiamoci. Ovvio che anche chi fa scienza ha dei preconcetti. Viviamo in un contesto culturale, in una società che porta il segno del suo tempo. E non è vera quella stronzata che prima trovi i dati e poi formuli la teoria. Come già diceva Darwin, nessun dato ha senso se non è a favore o contro una teoria. Si parte, tutti,  da una visione del mondo, e si cerca di dimostrarla. Vero, assolutamente vero.

Ma il punto è un altro. Il punto è che chi fa scienza può, comprensibilmente (diciamo in modo etologicamente comprensibile) rimanere fedele alla propria teoria anche a fronte di prove che la  contrastano. Solo che, nella scienza, questo non è un merito, bensì una colpa. Mentre, al contrario, per chi professa una fede, le prove che la affossano sono, devono essere, irrilevanti, altrimenti non ci sarebbe merito nel credere. “Credo perché è impossibile”, no? Quindi è un merito, e non una colpa, andare contro i fatti, le evidenze.

Per  questo io penso che ai credenti, che poi già il termine li qualifica, dovrebbe essere vietato di teorizzare nel campo dell’evoluzionismo. Non che la fede implichi una mancanza di qualità a livello di tecnica di laboratorio. E non che io creda  possibile (anche se mi piacerebbe crederlo) una selezione negli scienziati basata sulle cazzate di cui si professano certi. E’ solo che un credente, un credente a priori in qualunque cosa, fossero anche gli spaghetti volanti, non è uno che fa scienza. E’ uno che cerca conferme dei suoi preconcetti  o negazioni dei preconcetti altrui. Il che, come dicevo sopra, è esattamente quello che fanno anche gli scienziati. Solo che il credente pensa sia un punto di merito, lo scienziato, se beccato, se ne vergogna.

Inoltre, qualunque cazzo di fede implica il finalismo. E il finalismo è il nemico ultimo dell’evoluzionismo. Non si può ragionare evoluzionisticamente se si crede in dio. Ohi! Niente in contrario alla fede, beninteso! Se non infibuli la figlia, se non tiri giù grattacieli, se non trovi giusto e corretto picchiare la moglie col bastone tutte le sere, e se non vuoi il mio otto per mille, credi in quel cazzo che ti pare. Solo, e questa può sembrare la mia religione, non penso che un credente possa fare scienza. Può, se lo scienziato lo sopporta, fare il tecnico di laboratorio. O fare le pulizie, tanto sarà ricompensato nel regno dei cieli, e questa vita di merda è solo un passaggio.

lunedì 21 maggio 2012

Ciotole adattative, seconda parte.


Bene, abbiamo quindi un problema, come visto sopra (o meglio sotto): è ragionevole presumere che una popolazione rimanga per lunghi periodi all'incirca uguale a se stessa, bella placida sul fondo della sua ciotola, e però non si spiega come, di punto in bianco, le venga il ticchio di speciare. In altri termini, abbiamo record fossili che testimoniano la cocciuta persistenza di un determinato fenotipo seguita quasi fulmineamente e imprevedibilmente da una variante o da un grappolo di varianti drasticamente diverse. E allora proviamo a vedere la cosa dal punto di vista degli alleli.


Se si osserva una popolazione nel tempo (e limitatamente a questo ambito), quello che un allele fa è riprodursi oppure no o, più drasticamente e in ultima analisi, fissarsi o scomparire. Mi piacerebbe, per quanto possibile, evitare l'antropomorfizzazione degli alleli, in modo da saltare a piè pari alcune apparenti complicazioni. Voglio dire che se non usiamo termini come "strategia", "vantaggio", "egoismo" e così via, sgomberiamo il campo di molti possibili fraintendimenti. Un  allele aumenta o diminuisce la sua frequenza nella popolazione in un ambito di tempo, ed è tutto qui. Se la sua frequenza aumenta (il che è l'unico criterio possibile per parlare di una _sua_ maggiore o minore funzionalità), è segno che si è riprodotto più degli altri, è una tautologia. Nel numero di generazioni considerate, certo. Un allele, in fondo, può essere dannoso alla popolazione in cui si diffonde, e diffondersi ugualmente, al punto di causare l'estinzione di chi lo porta. Ma questo non è affar suo. Lui si replica o non si replica e basta.


Provo a dirlo meglio. Dapprima nella cascata di eventi dell'ontogenesi, e poi nel mero sopravvivere e riprodursi dell'individuo, ogni allele è imprigionato in un esperimento, per così dire. Svolge il suo ruolo, o viene impedito nel farlo, in funzione di come l'organismo nel quale è rinchiuso reagisce a circostanze esterne imprevedibili. Certo, la funzione che l'allele svolge o non svolge può avere rilevanza sul modo in cui l'organismo funziona, e certamente gli altri alleli degli altri geni possono influenzare la funzionalità del singolo allele, ed esserne influenzati. Ma non è il singolo allele che viene sottoposto a selezione, bensì il risultato della sua collaborazione con tutti gli altri, e cioè l'organismo. E l'organismo fa parte di una popolazione, la quale non necessariamente riceve un vantaggio dalla riproduzione di quel singolo organismo e di tutti gli alleli che contiene. Ma questo è irrilevante per quel che riguarda il punto di vista che propongo, e cioè che, indipendentemente dai motivi e dai vantaggi, per ogni gene all'interno di una popolazione ci sarà un allele più frequente, e che quell'allele sarà più frequente perchè aiuta o non ostacola la riproduzione di chi lo porta, e quindi di se stesso.


Se la vediamo così avremo, per ogni gene all'interno di una popolazione in un tempo puntuale, un allele più frequente. Cioè in un momento dato, ognuno dei (boh) ventimila geni di quella popolazione si presenterà più frequentemente sotto la specie di un allele piuttosto che degli alleli alternativi. Quasi una firma allelica che identifica una popolazione, per così dire.

Ma l'ambiente primario nel quale gli alleli svolgono la propria funzione, l'ambiente dal quale vengono maggiormente influenzati nella cascata di eventi che porta alla riproduzione (o alla mancata riproduzione) dell'individuo che li contiene, sono gli alleli stessi. Ogni gene, o quasi, influenza altri geni, che ne influenzano altri ancora, e le varianti alleliche dei geni non sono certo irrilevanti per l'ottimizzazione del processo. La quasi totalità della variabilità fenotipica ereditabile di una popolazione, e quindi il suo potenziale evolutivo, dipende dalla sua variabilità allelica. Un allele, per aumentare la propria frequenza nella popolazione, deve trovarne altri, su altri geni, i quali, interagendo con lui nel modo migliore, portino al risultato di un individuo che si riproduce più degli altri individui della popolazione. Se questo è vero, allora ne discende che gli alleli più frequenti, quelli della firma allelica, sono anche gli alleli che più frequentemente si ritrovano assieme nello stesso individuo. La firma allelica sarebbe, cioè, la combinazione ottimale teorica, avvicinandosi alla quale un individuo aumenta la propria fitness. Ma naturalmente il fatto che si riproducano più frequentemente gli individui che tendono geneticamente ad avvicinarsi alla stessa distribuzione allelica, rende i fenotipi della popolazione piuttosto standardizzati e centrati sulla media.


Bene, abbiamo dunque degli individui che vengono tenuti sul fondo della ciotola dalla forza di attrazione della firma allelica, scostandosi dalla quale la fitness diminuisce, e avvicinandosi alla quale il fenotipo si mantiene invariato.


Ho posto un paio di volte la limitazione "in un momento dato", riferendomi alla firma allelica. Questo perchè ovviamente le frequenze alleliche in una popolazione tendono a fluttuare nel tempo. Alcuni alleli possono essere mantenuti in eterozigosi, con percentuali fisse, da particolari pressioni selettive, ma in linea di massima la firma allelica si modifica nel tempo. Ma allora, ci si potrebbe chiedere a questo punto, tutte quelle chiacchiere sull'impossibilità di uscire dalla ciotola, sul parlamento di alleli che cassa ogni modifica seria, sulla difficoltà quasi insormontabile di un adattamento graduale, erano tutte fesserie? Come si può far andare d'accordo l'interdipendenza obbligata fra alleli, che si risolve nella firma allelica, con il fatto che la firma cambia nel tempo?


Il fatto è che viene selezionato non l'allele, ma l'organismo. E che ci sono più modi di scuoiare un gatto.

Quello su cui i vari alleli devono concordare è un fenotipo di compromesso, nel quale ogni miglioramento di un carattere implica il peggioramento del complesso dei caratteri. Ma questo non significa che ci sia un solo insieme di alleli in grado di ottenere il risultato. Ci possono essere diversi insiemi di alleli che danno suppergiù lo stesso risultato fenotipico, e da questo consegue che la firma può variare nel tempo senza implicare una variazione del risultato, e può variare usando gli alleli presenti nel pool della popolazione in quel determinato momento. Sembrerebbe un'affermazione basata in aria, ma spiega, a livello di ipotesi, la costanza per lunghi periodi del fenotipo nei record fossili. Per trovare argomenti a sostegno dell’ipotesi possiamo guardarci intorno e cercare qualche esperimento naturale sul lungo termine, e i Rotiferi bdelloidei sembrano inventati apposta.

Le "specie" di rotiferi bdelloidei sono valide tassonomicamente a livello fenotipico, ogni individuo è decisamente e inequivocabilmente ascrivibile ad una “specie” ben determinata. Perché virgoletto il termine “specie”? Perché i Rotiferi bdelloidei sono tutti partenogenetici, non è mai stato riscontrato un maschio in nessuna specie, e quindi si potrebbe dire che ogni singolo individuo è una specie, o almeno una popolazione, a sé stante. Stiamo quindi parlando di miliardi di individui che si sono riprodotti per  un numero di generazioni nell’ordine dei nove zeri, senza scambio genico fra loro. Un esperimento veramente grandioso! Consideriamo poi che i nostri si distribuiscono nel mondo entrando in anidrobiosi e facendosi trasportare dal vento, con il risultato che possono trovarsi a caso in tutte le situazioni ambientali possibili sul pianeta, e che quindi, in teoria, qualunque mutazione che rendesse un individuo adatto ad un qualsiasi ambiente avrebbe buone probabilità di trovare quell’ambiente. Alla luce quindi di un gradualismo nella speciazione, cosa dovremmo attenderci? Io direi che sarebbe inevitabile trovarci alla presenza di un putiferio di “specie”, quasi ogni individuo che imbrocca la sua strada solitaria. Secondo la mia ipotesi, invece, dovremmo avere poche specie con una discreta costanza fenotipica e una notevole variabilità allelica. Poche forme inchiodate sul fondo delle ciotole, e parecchi modi diversi di produrre quelle forme. Ed è quello che abbiamo. Miliardi di individui in quaranta milioni di anni con un tasso riproduttivo (in condizioni adatte) di una generazione a settimana, hanno prodotto meno di duecento “specie”, specie valide fenotipicamente, ma con una variabilità genetica fra gli individui molto superiore a quella di una specie a riproduzione sessuata. Come è possibile?

Beh, il punto non è che duecento specie siano poche, il punto è che sono troppe. Se l’attrazione sul fondo delle ciotole è così potente, se il gradualismo è così inefficiente, dovremmo avere ancora una singola specie. Duecento eccezioni alla regola sembrano una cifra un po’ eccessiva.

Quindi siamo daccapo. E la speciazione?

La pressione selettiva tende a raggruppare la popolazione attorno alla firma allelica, una diminuzione di pressione al contrario aumenterà la variabilità allelica, o, per meglio dire, la frequenza relativa degli alleli meno adatti. Ora, abbiamo visto che una volta raggiunto un fenotipo stabile, una firma allelica di ragionevole compromesso, variarla in una specifica direzione sia davvero difficile. Ma deve essere pur stata raggiunta una prima volta, e come, se a piccoli passi è così improbabile?

Poniamo che una popolazione si trovi ad avere scarsa pressione selettiva, per motivi contingenti (non so, un'estinzione dei competitori, una nuova via fluviale per una massa d'acqua vergine...), e che quindi le frequenze alleliche meno adatte siano scremate con minore efficienza. Abbiamo un brodo allelico primordiale, che fa gorgo attorno alla firma, come ad un attrattore. Ma è così impossibile pensare che fra gli alleli meno adatti possa esistere una nuova, diversa, firma allelica, una nuova combinazione funzionale, che porta ad un nuovo, diverso fenotipo, egualmente in equilibrio? Un secondo gorgo, un secondo attrattore? Una nuova strada per arrivare al risultato di riprodursi? Dopo tutto, se alleli diversi possono produrre lo stesso fenotipo, perchè non potrebbero produrne uno diverso?


Provo a chiarirmi con un esempio. Poniamo di dover visitare, per motivi di lavoro, cinquanta città degli Stati Uniti. Per trovare un percorso ottimale dovremo prendere in considerazione sia il tempo di volo sia gli orari delle coincidenze nei vari aereoporti. Trovato, a forza di tentativi ed errori, il tragitto più breve, scopriamo che ci fa partire da New York e finisce a Los Angeles. A volte, per ritardi aerei, per appuntamenti mancati, per contrattempi qualsiasi, varieremo di poco il percorso, ma il risultato finale sarà sempre l'arrivo a Los Angeles, con ritardi accettabili. Difficile cambiare un periplo di cinquanta città improvvisando a partire da un aereo perso a Miami. Però il tempo passa, e gli orari delle partenze cambiano. E si da il caso che siamo in un periodo di stanca, in cui ci possiamo permettere qualche esperimento. E, guarda un po', viene fuori che New York/Los Angeles è ancora buono, ma se parto da Boston e finisco a S.Francisco ci metto lo stesso tempo. I due percorsi sono alternativi, validi entrambi, percorribili entrambi. Ma S. Francisco non è Los Angeles. E soprattutto qualunque miscuglio fra i due percorsi è perdente in termini di tempo di percorrenza.


Cosa voglio dire? Voglio dire che, all'interno del pool allelico della popolazione, potrebbe comparire, per caso, un insieme di alleli altamente funzionale e diverso da quello della firma. E che, se questo comparisse, porterebbe velocemente a speciazione simpatrica, in quanto gli individui più vicini a una o l'altra firma avrebbero maggiore fitness di quelli intermedi, e quindi avrebbero maggiore fitness degli "ibridi". La popolazione si divide in due raggruppamenti allelici, dove chi è più vicino all’una o all’altra firma si riproduce maggiormente. La ciotola è diventata _due_ ciotole, così, d'improvviso, senza macromutazioni, solo usando quel che c'era. Gli agenti di commercio che seguono la tratta New York/Los Angeles, come quelli che fanno Boston/S. Francisco, mantengono il posto, gli altri vengono licenziati per inadempienza, e così si eliminano tutti i percorsi misti. Ma, ripeto, Los Angeles è diversa da S. Francisco.


Non sto sostenendo che da una salamandra salta fuori una lucertola di punto in bianco! Quello che dico è che prima avevamo una firma allelica teorica ottimale, che non era verosimile trovare espressa in alcun individuo della popolazione, ma che favoriva riproduttivamente gli individui che più ci si avvicinavano. Però, essendo così improbabile centrarla perfettamente (una combinazione su ventimila alla quinta…), rimaneva comunque una variabilità allelica, sotto forma di individui subottimali che però erano migliori di altri. Si potrebbe dire che la firma allelica disegna l’ipotetico individuo ottimale dal punto di vista riproduttivo, fermo restando che quell’individuo non esiste né è mai esistito. Né potrebbe esistere. Voglio dire, puoi avere la combinazione perfetta e beccarti un baobab in testa.

(Non vorrei  essere frainteso. La firma allelica è qualcosa a posteriori. Se esiste, per ogni gene, un allele più comune nella popolazione, è segno che in qualche modo quell’allele è riuscito a fare più copie di se stesso. E l’insieme degli alleli che sono riusciti a fare più copie di se stessi costituisce, di fatto, l’insieme ottimale. Il caso, il baobab, intervengono prima, e noi vediamo il risultato dopo. Non ci importa nulla del motivo per cui quell’allele è lì, visto che non esiste un motivo. Ci limitiamo ad una conta a posteriori. E’ in quest’ottica che io trovo incomprensibile la frase di Eldredge “I dinosauri si sono estinti nonostante avessero i geni migliori.” I geni, beh, gli alleli migliori sono quelli che fanno più copie di se stessi. Se non si replicano, indipendentemente dal motivo, allora non sono i migliori, per definizione. Altrimenti mi si deve proporre una definizione di migliore diversa da questa. In buona sostanza, la firma allelica non è un ipotesi di individuo ottimale, è un’osservazione statistica a posteriori.)


Bene, prima avevamo una firma allelica, ora ne abbiamo due. E quella neonata, ancora sperimentale, è passibile di modifiche e migliorie, anche su tempi brevi a scala geologica. Un riassemblamento del materiale allelico disponibile. Se imbrocchiamo un nuovo allineamento possibile, una nuova sequenza allelica funzionale, diversa da quella precedente, si innescherà inevitabilmente un effetto di retroazione a rinforzo, perché i miscugli fra le due saranno lontani da entrambe le firme, da entrambi i centri di attrazione, e quindi saranno, ancora una volta per definizione, peggiori nel fare copie di se stessi. L’incappare casualmente in un insieme allelico alternativo a quello ottimale ma altrettanto funzionale, e il conseguente effetto di rinforzo, costituiscono, assieme, la mia ipotesi di speciazione simpatrica rapida, senza bisogno di nessun deus ex machina.


Non è bello? Una popolazione vista come un cielo di alleli che fluttuano come asteroidi, in tre dimensioni, attorno ad un centro di gravità che è ora più forte e ora più debole. E in un attimo in cui il centro è più debole, in cui le orbite sono più lasche, improvvisamente e per caso alcuni asteroidi massicci si incontrano in un punto della periferia, deviano alcune rotte, e si forma un centro di gravità alternativo. Il movimento si complica, le orbite diventano incerte, e poi tutto si stabilizza in un nuovo sistema con due attrattori, ognuno con i propri asteroidi, e nessuno dei due è migliore, più evoluto. Solo diverso. Due ciotole.